Granai della Memoria Granai della Memoria - The Granaries of Memory

Universita di Scienze Gastronomiche Slow Food


Gianpiero Ottobrino

L'esperienza di un trifulau di Langa

Membro dell’associazione Tartufai Colline di Langa, Gianpiero Ottobrino, classe 1968, espone una serie di considerazioni sul mondo dei tartufi, iniziando a evidenziare gli obiettivi della propria associazione (che raggruppa 45 soci) per la tutela dell’ambiente e il ripopolamento dei terreni con piante micorizzate: oggi la coltivazione non è possibile per il tartufo bianco, mentre per quello nero (il cosiddetto scorzone), i risultati sono del 60-70% di piante produttrici dopo 6-7 anni. Il tartufo bianco d’Alba presenta caratteristiche organolettiche non confrontabili con tartufi provenienti dall’estero, come quello cinese, che qualche azienda utilizza per paste o salse tartufate. 
In merito ai cani, secondo Gianpiero tutti possono essere addestrati, ma il lagotto romagnolo, avendo innata la qualità della cerca, è quello più adatto, rispetto ad esempio al bracco-pointer che ha invece l’istinto per la caccia. In Francia viene usato anche il maiale, impensabile nella realtà collinare delle Langhe. La mosca è un elemento che dà la possibilità di vedere, fra le crepe del terreno, la presenza di scorzoni (che crescono più a fior di terra rispetto al tartufo bianco), ma c’è il rischio di estrarre esemplari acerbi e di compromettere così la produzione negli anni successivi. Ricorda anche un anziano che usava un bastone di salice per sondare il terreno e individuare i tartufi. 
Gianpiero illustra la propria tecnica di allevamento dei cani: inizialmente vengono fatti giocare con una pallina con dentro un pezzo di tartufo, che viene lanciata e quando l’animale la riporta viene premiato con un biscotto o un pezzo di wuster. Quindi la pallina viene lanciata nell’erba alta, per rendere più difficile la ricerca, infine interrata, per abituarlo a raspare. Le prime uscite avvengono assieme a un cane più anziano e per la ricerca del nero, passando successivamente al bianco. 
Gianpiero non è figlio di tartufai, ma la sua passione nasce dall’amore per la natura e gli animali. A vent’anni ha preso il primo cane, iniziando un’attività che gli dà grandi soddisfazioni, anche se nell’andare in giro di notte non manca la paura per cinghiali e animali selvatici o di scivolare. Proprie per questi pericoli sono poche le donne che si dedicano a quest’attività. Tutti nella zona hanno sentito parlare della presenza di masche e un tempo c’era un uomo che veniva a spaventarlo. 
A giudizio di Gianpiero non è detto che una pianta che dà un bel tartufo, lo ridia tutti gli anni alla stessa data (o meglio allo stesso giorno della fase lunare), ma è certo che da piante che danno sempre tartufi di modeste dimensioni è difficile ricavare esemplari belli. In merito alle tecniche di conservazione, egli è solito spazzolare i tartufi, avvolgerli nella carta da cucina e poi metterli in un vaso grande nel frigorifero; alcuni tartufai usano conservare gli esemplari in cantina, in un vaso di terracotta con dentro del terriccio. 
Salvo che dal 1° al 21 settembre e nel mese di maggio, in tutto il resto dell’anno è possibile raccogliere tartufi, di tipo diverso a seconda della stagione. Oltre ai noti poteri afrodisiaci del tartufo bianco, quello nero, ricorda Gianpiero, conterrebbe molecole simili a quelle della cannabis. 
La testimonianza si conclude sottolineando che tutti gli anni, persone senza scrupoli, avvelenano dei cani e l’associazione contro questi episodi sporge denuncia al Corpo Forestale dello Stato e ai Carabinieri. I sistemi usati spaziano dalle polpette con veleno, alle polpette coi chiodi, alle spugne fatte friggere. 
Per Giampiero il tartufo trasforma una serata normale in una serata speciale con gli amici e la sua ricerca costituisce un’emozione difficile da descrivere, legata al fascino della notte e al feeling con il proprio cane. 

Questo video fa parte del seguente archivio
Il Tartufo Bianco

Il Tartufo Bianco

L’archivio racconta il tartufo bianco, conosciuto per i suoi sapori e aspetti mondani, ma pressoché ignoto nella sua veste culturale e identitaria che ha plasmato generazioni di raccoglitori. La ricerca realizza un substrato di conoscenze documentato attraverso decine di interviste: elementi storici, antropologici, rituali e miti riguardanti questo prezioso fungo, considerato ancora oggi, per molti versi, un mistero notturno. Il progetto è stato promosso dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, l’Associazione Nazionale “Città del Tartufo”, il Centro Nazionale Studi Tartufo e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.

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